Assistiamo a uno stillicidio… la continua chiusura di pubblici esercizi sta spegnendo le nostre città i nostri paesi, determinando anche carenze nelle prestazioni di servizi essenziali in modo particolare per gli anziani, degrado sociale, sicurezza pubblica, controlli e minore vivibilità dei centri urbani e non ultima una crescente disoccupazione. Quando un centro commerciale minaccia 500 licenziamenti (vedi Carrefour) si mobilitano i sindacati, si muovono le istituzioni, si fa finta di nulla se nel frattempo chiudono mille negozi. Continuando di questo passo avremo strade e piazze “spente” non solo nel periodo di ferragosto ma per tutto l’anno.
Fra le cause di impoverimento della rete distributiva e commerciale non c’è solo la lunga crisi economica che ha portato al calo dei consumi, ma soprattutto una dissennata liberalizzazione che ha investito il settore del commercio. Il proliferare della grande distribuzione organizzata (GDO) con il progressivo indebolimento dei negozi tradizionali, ha provocato uno squilibrio tra le varie tipologie di vendita, tanto è vero che il commercio di vicinato sta scomparendo. Allora si pone un problema, visto che la risposta non può venire dal libero mercato, che non esiste, ma solo da una seria politica commerciale, condivisa da stato regioni ed Europa. (sogni!?)
Il commercio per essere un servizio sociale, come lo è. Deve essere governato non da dirigistiche normative, ma da adeguate norme diversificate a seconda delle realtà locali. Un esempio per tutti.
La Regione Toscana aveva approvato una legge urbanistica con la quale si stabiliva, tra l’altro, di verificare le nuove grandi strutture di vendita (gsv, supermercati, iper, centri ecc…) E le aggregazioni di medie strutture sulla base di precisi e vincolanti criteri legali, precisando che la verifica e le previsioni di nuovi insediamenti (gsv) fossero esaminati non con i soliti criteri della capacità di assorbimento da parte delle infrastrutture stradali, del livello delle emissioni di inquinamento, della tutela del paesaggio ambientale.
Ma anche dalla verifica come obbligo di legge, rispetto “alle conseguenze attese sia alla permanenza dei negozi già esistenti, al fine di garantire i servizi essenziali in tutte le aree, sia sulle attività già presenti nei centri storici e sulle necessarie garanzie di permanenza delle attività commerciali medesime,” sembravano norme Regionali di assoluto buon senso, quasi date per scontate, ma che vanno sicuramente in controtendenza alla sfrenata Deregulation imperante nel settore commerciale, tanto è vero che il governo ha impugnato la legge regionale toscana con un ricorso alla corte costituzionale, ritenendola illegittima proprio con riferimento alla disciplina riguardante le previsioni urbanistiche in materia di piccole, medie e grandi strutture di vendita, in quanto conterrebbe meccanismi di tutela degli esercizi di vicinato (negozi) che costituiscono un ostacolo alla libera concorrenza, ponendosi in contrasto con le vigenti norme di liberalizzazione del commercio. Vedremo cosa deciderà la consulta, ma pur confidando in una favorevole interpretazione “evolutiva” della vigente normativa, non può essere la Magistratura Costituzionale la soluzione dei problemi che la politica lascia irrisolti!
Già il TAR di Milano su questo aspetto di materia commerciale, respingendo un ricorso presentato contro la regione Lombardia da parte della GDO (grande distribuzione organizzata) affermava che “un’impostazione fondamentalmente liberista come quella di matrice europea, non rinnega certo l’essenziale importanza della verifica circa la proporzionalità della programmazione della rete commerciale e, a valle, della valutazioni istruttorie ogni qual volta si debba autorizzare un grande insediamento di vendita”
In attesa del pronunciamento della Consulta resta però il fatto che servirebbe finalmente una politica commerciale condivisa e soprattutto coordinata tra i vari livelli istituzionali. Una politica che non scarichi sulla Giurisprudenza gli evitabili conflitti tra i vari livelli amministrativi soprattutto a causa di norme europee che troppe volte sono applicate senza valutare gli effetti negativi sugli equilibri del nostro sistema distributivo e che comportano distorsioni e squilibri non più recuperabili. Riformare e rivedere le norme è un imperativo urgente cui i nostri politici a cominciare da quelli europei dovrebbero essere impegnati con urgenza.