Due vite per la tromba.
Anania e Walter Battagliola
Incontri con grandi protagonisti della musica del ‘900 nella Milano degli anni difficili
È questo un bel libro che nasce (tra le tante che tu hai) dalla tua passione per la musica. Come hai conosciuto Walter Battagliola?
I Battagliola erano amici di famiglia dei Lo Monaco, in particolare Aras, sorella dei Battagliola era amica di Silvia, figlia di Paolo Lo Monaco e madre di Paolo (Miccio Lo Monaco). Walter era stato maestro di tromba di Paolo il quale, quando ci conoscemmo, mi presentò subito a Walter e ad Anania. Per un certo tempo frequentammo soprattutto Anania, sua moglie Graziella e Walter jr. ottimo flautista, ma anche Walter e sua moglie Armida: con loro ci vedevamo sia a Milano sia, in estate, sopra il lago di Como, dove ci invitavano a succulenti pranzetti. Poi un bel dì Walter jr ci disse che suo zio era un archivio vivente, aveva una memoria di ferro e si ricordava nomi cognomi e date dell’attività musicale a Milano. A quel punto – era circa la metà degli anni Novanta – io proposi a Walter di scrivere un libro che poteva essere di grande interesse. Per convincerlo gli offrii di lavorare con lui e cominciammo a pensare alla struttura da dare al lavoro: lui mi avrebbe raccontato tutto quello che ricordava e io avrei scritto quanto mi dettava e ne avrei fatto un racconto arricchendolo con annotazioni (questo lo dico anche nell’introduzione). Ciò avvenne fra la fine del ‘900 e l’inizio del 2000. Ne è uscito un lavoro a quattro mani con il racconto vero e proprio corredato dalle mie note e una serie di apparati come la rassegna delle Critiche, la bibliografia ecc. il tutto reso più vivace da alcune foto dell’archivio soprattutto di Walter, ma anche di Anania. Ed è bello ricordarlo quest’anno in cui ricorre il CENTENARIO della nascita di Walter!!
Sullo sfondo delle memorie musicali di WB emerge una Milano straordinariamente vivace, sia culturalmente che come ‘vita europea’ pari nessuna – in quegli anni – in Italia. Una vita autenticamente metropolitana, con offerte lavorative inimmaginabili nel resto della nostra nazione. Nel tuo assemblare queste memorie, cosa hai dovuto escludere (per questioni di essenzialità) su quella meravigliosa Milano che oggi vorresti aggiungere?
Mah! Certo era una Milano speciale! Fino al 1935 circa Milano era sì una città di respiro europeo come punto di incontro della vita culturale e industriale viva e operosa in tutti i sensi, ma aveva ancora una dimensione “domestica”: era ancora scoperta la cerchia dei Navigli, c’erano ancora tante case di ringhiera dove tutti si conoscevano e si aiutavano in vario modo (del resto la casa di via dei Fabbri dove abitavano i Battagliola era appunto una casa così; oggi è stata ristrutturata ed è diventata una residenza elegante ma anonima). Si girava molto a piedi o in bici (anche Walter ne aveva una) e si respirava un’atmosfera familiare, soprattutto nel cuore della città. C’era la Fiera di Sinigallia, in via Calatafimi, che rimase l’appuntamento del sabato per trovarobe, ricettatori, ladri, mercanti e collezionisti per bene, un mondo variopinto ed affascinante dove trovavi qualche libro raro e qualche anticaglia di valore a poco prezzo (come la tromba dei Battagliola) o qualche solenne fregatura. Io di queste cose ho più sentito parlare da parenti e amici che vissuto di persona, poiché alla mia nascita i Navigli erano stati coperti da poco e la città si stava modernizzando, ma stava diventando meno caratteristica. Vedevo ancora girare l’arrotino “Donne c’è qui il moletta” o il venditore del ghiaccio che serviva per alimentare la ghiacciaia o lo straccivendolo e sono stata un’assidua frequentatrice della Fiera di Sinigaglia che era sulla strada che facevo tornando da scuola. Ci sarebbe da farne un libriccino a parte, ma, appunto c’entra poco con l’argomento del libro.
Milano dell’imprenditoria e dell’economia, ma anche dell’offerta musicale formidabile, che tu metti in luce con grande puntualità: la vita dei genitori dei W e AB, i teatri, le orchestrine, le agenzie teatrali…
In quella Milano alla buona vivevano persone che – nonostante il basso profilo – erano fior di professionisti. Per esempio i genitori dei Battagliola vivevano sì a Porta Cicca, dove la ligéra viveva uscio a uscio con tanta brava gente (operai, artigiani, commercianti, impiegati) avevano un ménage modesto, ma erano dei professionisti di ottimo livello: erano tutti e due violinisti e il padre a volte era impegnato nella formazione di orchestre per gli spettacoli musicali, come per esempio quelli del ‘Puccini’. Conoscevano molti musicisti: cantanti, strumentisti insegnanti di musica, perciò facevano parte di un’élite che, senza darsi arie, costituiva l’ossatura della cultura musicale milanese. Qui si potrebbe fare un lungo discorso sui teatri di Milano, che non erano solo La Scala “tempio” della lirica, con tutto quello che ha di sacro la parola tempio! Vi erano il ‘Puccini’, dove debuttarono alcuni grandi artisti che divennero dei miti (vedi per tutti Mario Del Monaco del cui debutto sotto la bacchetta di Paolo Lo Monaco parlo nella seconda parte di questa intervista – sul prossimo numero del Giornalino – con cenni della vita di Paolo Lo Monaco); il ‘Carcano’, inaugurato ai primi dell’Ottocento, dove nel 1813 si esibì Niccolò Paganini; vi furono molte prime esecuzioni: l’Anna Bolena di Donizetti con Giuditta Pasta, La sonnambula e Beatrice di Tenda di Bellini, e, nel 1833, Norma e La Sonnambula con Maria Malibran! E via elencando. Poi divenne sala cinematografica e a volte vi si faceva l’operetta e oggi è prevalentemente teatro di prosa; il teatro della ‘Cannobbiana’, situato dove oggi sorge il Teatro Lirico, che dal Settecento ai primi decenni del Novecento fu il teatro dove si faceva l’opera, secondo solo alla Scala, e lì ebbe i primi successi Enrico Caruso; poi fu anche utilizzato per il teatro di rivista e per la prosa e come sala cinematografica; il ‘Fossati’, operante nell’Ottocento e poi sala cinematografica, oggi sede del Piccolo Teatro Giorgio Strehler; il ‘Dal Verme’, dal 1872 di proprietà del conte Francesco Dal Verme, dove vi furono importanti prime esecuzioni di opere e dove si fece anche l’operetta e altri tipi di spettacoli (oggi è sede dei Pomeriggi Musicali;) il ‘Teatro Nuovo’ in Galleria del Toro, nato nel 1938, di cui era direttore Remigio Paone che, oltre gli spettacoli teatrali e di rivista, ospitò concerti solistici e strumentali di varie organizzazioni e che fu la primaria sede dei Pomeriggi Musicali; il teatro ‘Kursal Diana’, dove si facevano vari tipi di spettacoli d’intrattenimento e dove, nel 1921, si dava un’operetta con la Compagnia Darclée e che fu obiettivo del celebre attentato di cui parla anche Walter nel libro perché nell’orchestra suonava sua madre, che, per fortuna, quella sera era assente per malattia. Come si vede, in quella Milano, prima e dopo la prima guerra mondiale, c’era un’offerta musicale di eccezionale vastità per un pubblico sia colto sia di media cultura. Quei teatri erano dei “contenitori”, cioè luoghi dove si facevano spettacoli organizzati da musicisti, imprenditori, cantanti che di volta in volta si radunavano secondo le esigenze del momento e – alla fine dell’evento – si scioglievano e si riformavano al bisogno, ma nessuno manteneva un’orchestra stabile. Se poi vogliamo dire due parole sull’attività musicale – sempre organizzata con questa modalità – durante la seconda guerra mondiale si deve sottolineare che ogni tipo di sala, grande o piccola, rimasta agibile dopo i bombardamenti, poteva diventare temporanea sede per l’opera.
Per stuzzicare il lettore, potresti riassumere i caratteri fondamentali della personalità e della musicalità di WB?
Oh, sì! Walter era, come mi disse l’attrice Giulia Lazzarini, che lavorò con lui in alcune produzioni del Piccolo Teatro, “una forza della natura”. Esuberante e vitale, facile all’entusiasmo, capace di atti generosi, scherzoso e burlone e a volte irascibile, incapace di ironia e di autoironia. Lo si può capire da alcuni episodi che racconta nel libro. Per quanto riguarda la musica, l’”aveva nel sangue”, come dice lui. Fu abbastanza amato dai colleghi, molti dei quali gli rimasero amici anche dopo il suo ritiro per la paresi che gli precluse la possibilità di continuare a suonare la tromba, che – anche quella – “aveva nel sangue”. La sua bravura gli veniva da una dote naturale, lo dimostra la sua carriera precocissima e amava i suoi insegnanti e da alcuni fu particolarmente amato e aiutato. Infatti sapeva farsi amare. Era a volte avventato, e di questo era consapevole, lo dimostrano certe battute fulminanti e certe impuntature con qualcuno che credeva gli avesse fatto un affronto o un torto. Con gli allievi era bonario e generoso. Si fidava molto del suo istinto sia nei rapporti umani sia nella musica. Col suo strumento aveva un rapporto d’”amore quasi fisico”, per questo – in alcune parti di questo libro – parla delle sue trombe (di diverso tipo a seconda del suono che doveva ottenere), in modo che a un profano può sembrare incomprensibile. Ma, con la sua abilità e il suo talento, riusciva a trarre dallo strumento quello che voleva, “provando e riprovando”. E non negava agli allievi la conoscenza di alcuni “trucchetti”. Sempre istintivamente riconosceva il genio di colleghi, direttori, artisti in genere e per alcuni nutriva una sconfinata ammirazione.
Hai accennato a Anania Battagliola, fratello più giovane, ma di pari talento, di Walter. Quali erano le differenze caratteriali tra i due?
Effettivamente Anania e Walter, che pure erano legatissimi, erano assai diversi: tanto Walter era sanguigno e irruente quanto invece Anania era riflessivo e ponderato. L’uno era battagliero, l’altro accomodante. Anania era studioso non solo della partitura e del suo strumento, ma amava approfondire la conoscenza della musica nel panorama della cultura generale. Leggeva molti libri impegnativi e saggi. Per questo era un interprete sagace e competente. Tutti e due amavano sia la musica barocca sia quella contemporanea, ma solo Anania si cimentò col figlio Walter jr nell’esecuzione di brani assai impegnativi che Paolo Miccio Lo Monaco aveva scritto per loro.
Il tuo prezioso libro parla di una formazione orchestrale che io non avevo nemmeno mai sentito citare: la Soldatensender. È davvero curioso che in molti (non moltissimi) libri su Milano e la musica non sia mai citata questa formazione decisamente: ce la puoi raccontare?
In effetti di “Soldatensender” sentii parlare anch’io per la prima volta da Walter. Quando scrivevamo il libro poco se ne sapeva e diceva, ma io nella bibliografia cito un testo in tedesco: Günter Grull, Radio und Musik von und für Soldaten (Kriegs- und Nachkriegsjahre 1939 – 1960) (Radio e musica di e per i soldati. Guerra e periodo post bellico 1939-1960), Herbst Verlag, Köln 2000. Oggi qualcosa di più si trova anche sul web. In realtà non si tratta solo di una formazione orchestrale, ma di un’iniziativa radiofonica ben più ampia rivolta ai soldati al fronte che comprendeva notiziari, programmi di intrattenimento e anche la diffusione di musica classica, che prevedeva l’esecuzione di musica appositamente preparata per essere trasmessa dalle emittenti radio autonome rispetto all’EIAR che trasmettevano al nord da Milano, Torino, Verona e, al centro Italia, da Roma e Firenze. Ma ve n’erano anche in altri paesi d’Europa. Ora qualche notizia sulla parte musicale si può trovare nel volume di Andrea Malvano, L’arte di arrangar(si). Trascrizioni e adattamenti storici dell’Archivio Musicale Rai. LIM, 2015 (pp. 38-42). Del resto può bastare quanto ne dice Walter nel libro. Posso aggiungere una sola cosa: Anania ha conservato la sua Tessera rilasciata dai tedeschi, una sorta di ‘carta d’identità’ con tanto di fotografia e timbri vari, che serviva per entrare al Teatro Litta, dove l’orchestra suonava, e allo spaccio per i Tedeschi dell’Albergo Touring in Piazza (oggi) della Repubblica, di cui parla Walter.
Nel dopoguerra Milano si riprende prestissimo dalle ferite del secondo conflitto mondiale, più velocemente di altri capoluoghi importanti: WB e AB entrano in un giro di concerti milanesi (e tournée) con orchestre ancora esistenti o che sono esistite fino agli anni ’70. Come ha vissuto WB questi ingaggi, questa frenesia e – soprattutto – l’appartenenza a nuove compagini orchestrali milanesi?
Sia Walter sia Anania erano dei grandi lavoratori e non si lasciavano sfuggire le occasioni di suonare. Data la loro competenza, erano molto ricercati. Quindi trovavano il modo di onorare tutti gli impegni che venivano loro proposti. Bisogna ricordare che nel 1941 nacque un’orchestra di sole donne presso l’Angelicum, voluta dai Frati Minori dell’omonimo teatro. Così se ne dice nella premessa del Fondo Nomus, dove sono conservati i documenti: «L’Associazione dell’Angelicum, che alla sua nascita nel 1941 ebbe il coraggio di fondare una orchestra di sole donne, nel dopoguerra fu uno dei protagonisti della rinascita culturale e artistica di Milano e un esempio irrepetibile per l’Italia e l’Europa». Una formazione di ispirazione cattolica quindi, e i Battagliola furono spesso chiamati a far parte di quell’orchestra, che poi divenne anche maschile, e che lavorò fino al 1992, quando il teatro chiuse e l’orchestra rinacque come Orchestra da camera Milano Classica, oggi con sede alla Palazzina Liberty. Lì ebbero modo di affrontare soprattutto quel repertorio barocco che tanto amavano e partecipare alle registrazioni di dischi che si possono ancora trovare. Anche la Polifonica Ambrosiana, fondata da don Giuseppe Biella nel 1947 come associazione corale, e che spesso collaborava con l’Angelicum, inserì nei suoi programmi musiche da chiesa che prevedevano l’utilizzo delle trombe, e chiamava a suonare i Battagliola. Ne parla anche Walter in una sezione del libro. E a questo punto tornerà utile aggiungere qualcosa. Se la prima orchestra stabile (oltre quella della Scala) era quella dell’Angelicum, nella Milano che portava ancora i segni della guerra appena finita, nacque anche la prima orchestra stabile ‘laica’ (ossia dal versante laico della società): i Pomeriggi Musicali, che iniziò a dare concerti nel novembre del 1945! Lo racconta bene Walter in un capitolo del libro. Qualche anno dopo anch’io, ragazzina, ricordo che quasi ogni sabato pomeriggio andavo al teatro Nuovo ad ascoltare magnifici concerti di questa orchestra giovane costituita da strumentisti bravissimi che suonavano sotto la direzione di maestri di fama internazionale che si alternavano sul podio.
Il 1947 fu un anno straordinario di rinascita: per l’iniziativa di un sacerdote e di un gruppo di intellettuali laici nacquero due istituzioni che furono un fiore all’occhiello di Milano: la Polifonica Ambrosiana e il Piccolo Teatro. La prima, fondata da don Giuseppe Biella che, come già detto, era costituita da un coro di “dilettanti” e che presto diventò assai apprezzato; spesso si avvaleva della collaborazione di musicisti e strumentisti di professione e diede concerti molto seguiti sia all’Angelicum sia in altre sedi prestigiose, come Brera, Palazzina Liberty, Teatro dal Verme, e fece tournée in Italia e all’estero. Uno dei princìpi statutari era la riscoperta e la diffusione di antichi capolavori musicali: per questo don Biella andò alla ricerca di musiche nel fondo della cappella del Duomo e riportò alla luce le musiche di Franchino Gaffurio, Michelangelo Grancini e altri autori sconosciuti prima che nascesse l’interesse per la early music in altri paesi d’Europa. Alcuni sue esibizioni erano lezioni di storia della musica, con un tema portante preciso, che veniva sviluppato in concerto. Quando nel 1986 il maestro Gianfranco Spinelli, successore di don Biella nella direzione dell’istituzione, decise di scioglierla essa rinacque subito per volontà di alcuni coristi (con l’avallo del maestro Spinelli) come Nuova Polifonica Ambrosiana, erede del patrimonio di esperienza della Polifonica Ambrosiana. Da quel momento, attraverso l’amicizia che legava i Battagliola al soprano Luciana Ticinelli Fattori (che, da solista, era diventata la colonna portante della nuova compagine), Walter e Anania furono invitati a suonare per noi. Il secondo, il Piccolo Teatro, fu il primo teatro stabile pubblico in Italia e fu fondato il 14 maggio 1947 da Giorgio Strehler, Paolo Grassi e Nina Vinchi, per dare vita a un’istituzione sostenuta dallo Stato e dagli Enti locali, inteso come pubblico servizio necessario per il benessere dei cittadini. “Teatro d’Arte per Tutti”, secondo i principi di libertà e di democrazia da poco riconquistati: produrre spettacoli di qualità indirizzati al pubblico più ampio possibile. Anche di questo Walter parla in un capitolo del libro, ricordando le collaborazioni col Piccolo, in cui i due fratelli accompagnarono gli spettacoli. Uno di quelli di maggiore successo fu Arlecchino servitore di due padroni, ripreso più volte fino agli anni ‘90, e a una delle ultime repliche assistemmo anche Paolo ed io.
Nasce nel 1950, dopo Torino e Roma, anche l’Orchestra Sinfonica di Milano della Rai, e WB è ingaggiato: puoi parlarci di questo straordinario momento della vita del trombettista?
Walter era un po’ in crisi, ce lo dice lui stesso in un capitolo. Il fatto che fosse proprio il maestro Carlo Maria Giulini ad averlo convocato in Rai lo rendeva molto orgoglioso. Un contratto per il posto fisso di prima tromba era quello che ci voleva per risollevarlo! Nell’orchestra sinfonica della Rai, che provava e dava concerti nella nuovissima Sala Verdi del Conservatorio di Milano, era quanto di meglio un artista come lui si potesse augurare e ne fu felicissimo. In quell’ambiente si trovò bene tanto che vi rimase per ben 28 anni. Ne parla molto nel libro e parla di tanti episodi e incontri interessanti.
WB fu anche apprezzatissimo docente di tromba (al ‘Niccolini’ di Piacenza): che memoria hai del suo stile di insegnamento, memoria magari veicolata dai racconti di Paolo Miccio Lo Monaco, suo allievo e tuo marito?
Devo confessare che con Paolo si parlava poco della sua esperienza di studio con Walter, che purtroppo durò poco, perché – dopo le lezioni private che Walter gli impartì gratuitamente e poi un anno e mezzo di frequenza al ‘Nicolini’ di Piacenza – Paolo ebbe un incidente gravissimo che gli impedì di riprendere gli studi di tromba (appena avvicinava il bocchino della tromba e iniziava a soffiare lo prendevano terribili dolori di testa) e che lo indusse a dedicarsi solo alla composizione. Però l’amicizia e il rispetto per il suo maestro – al quale non riuscì mai a dare del tu, gli si rivolgeva col lei e chiamandolo Maestro – non cessò mai, anzi, si consolidò. Walter seguiva con interesse i progressi di Paolo nella composizione; anzi, come racconta anche nel libro, viste delle composizioni che gli sembravano meritevoli di attenzione, le mostrò a Bruno Maderna, che era da poco diventato direttore principale dell’orchestra milanese della Rai, il quale le trovò “di una certa genialità”. Purtroppo di lì a poco Maderna morì (aveva solo 53 anni!) e l’opportunità di avvicinare un compositore così importante nel panorama della musica contemporanea – e per di più direttore d’orchestra che avrebbe potuto dargli preziosi consigli e, semmai, anche appoggiare la proposta di esecuzione di qualche suo lavoro – sfumò. Però l’episodio della proposta a Maderna ti dice come fosse attento alla carriera dei suoi allievi. Infatti Paolo ne parlava come di un docente bonario e attento al carattere dell’allievo di cui cercava di sviluppare le potenzialità senza forzature, ma non saprei dirti di più.
Una domanda che non ti ho fatto e alla quale avresti voluto rispondere?
Non mi viene in mente niente e ho già parlato troppo!!
Un ringraziamento a Gianpaolo Zeccara, che ha intervistato Ida Garzonio