“Un castiglionese doc, che si vuole firmare con lo pseudonimo “Giovanni dalle Bande Nere” rievocando a sé la figura storica di riferimento forse nella consapevolezza di compiere una scorribanda pasoliniana in un territorio avverso, quello della storia dell’arte in cui dominano clichés inamovibili, dopo anni di ricerche e di letture, ha stabilito l’ipotetica e nuova ricostruzione del profilo di un artista di prima grandezza del Quattrocento, un artista protetto dal cardinal Branda Castiglioni e da questi condotto in questo Borgo a che arricchisse la Collegiata di Castiglione Olona con la sua arte. Oggi, infatti, la Collegiata, lo stesso Palazzo Branda, possono vantare pitture di questo straordinario talento che la storia conosce come “Masolino da Panicale”.
In ragione di ciò si avvia ad usum delphini la pubblicazione di questa inedita biografia.
La Redazione”
MASOLINO DA PANICALE (Tommasino Fini 1383-1440)
Dopo seicento anni, l’uomo Masolino è ancora uno sconosciuto, uno dei tanti enigmi della storia dell’arte italiana. Esaltato, contestato, sfottuto e calunniato, dichiarato maestro e svilito a ricattatore, sballottato, manipolato, plagiato.
La parte maggiore di questo massacro spetta al Vasari. Con grande disinvoltura lo fa nascere e morire in ogni luogo, in ogni tempo. Là lo laurea bravo – non troppo – qua lo stima come maestro, tuttavia a conti fatti lo denigra. Peccato che per lui l’Ungheria non esiste – forse troppo lontana – così come Castiglione Olona – forse troppo vicina – in cui Masolino, nell’ultima maturità sua, lasciò la migliore parte di sé.
Se non per qualche opera a portata di mano, il Vasari, di Masolino conosceva poco o niente. Recepire acriticamente quanto scritto dal Vasari è stato per gli storici un grave errore, ma soprattutto forviante per coloro che hanno tentato di conoscere la cronologia masoliniana.
In epoca moderna, molti si sono accorti di questa scarsa attendibilità storica ed hanno puntato la loro attenzione su un Masolino, compaesano di Masaccio, quindi S. Giovanni Valdarno come luogo di nascita. Da alcuni decenni a Castiglione Olona si lavora, con impegno e qualche successo, alla valorizzazione globale delle tante splendide opere di Masolino che qui si trovano, ma non solo, si era iniziata anche una validissima opera di ricerca storica, condotta da numerosi e valenti studiosi che ha consentito di mettere in luce i rapporti tra il pittore e il suo mecenate, il Cardinal Branda Castiglioni. Sennonché gli storici dell’arte – per comodità o per inadeguatezza -alla fine si sono seduti sul cliché risaputo e vuoto, lasciando che il vero Masolino venga confuso con un impostore.
Con queste note si tenterà di dimostrare come la vera patria di Masolino non sia affatto S. Giovanni Valdarno e sia invece Panicale, da cui discende correttamente la denominazione corrente: “Masolino da Panicale”.
Fino ad ora Masolino si è cercato quasi esclusivamente nella sua arte, vorremmo cercarlo nel suo tempo, farlo rivivere con i personaggi e con la gente della sua epoca, riviverlo tra l’effimero e l’effettivo lusso delle corti signorili e cardinalizie e la povertà del popolo, confrontarlo tra l’orrido lampeggiare delle armi mercenarie e il divampare degli incendi e dei saccheggi di uomini in arme dediti, tra uno scontro e l’altro, a ogni sorta di violenza, a soprusi e crudeltà efferate, un clima torbido e senza pace a cui l’artista dovette partecipare suo malgrado. Lo si vuole accompagnare, infine, nella desiderata pace dell’Olona dall’acqua quieta del natio Trasimeno. Inevitabilmente si dovrà muovere da un’inquadratura grand’angolare, appellandoci a qualche dato storico. Al tempo stesso si vuole far intendere ciò che ci spinge a questo: un orgoglio campanilistico e un desiderio di veridicità storica forse alimentato dalle brillanti lezioni televisive del professor Barbero, dall’attenzione ai fatti di ieri trasmessi dalla nonna, dalla consapevolezza che a guadagnarci, alla fine, sarà proprio il territorio castiglionese, saranno i luoghi dove Masolino ha lasciato ampia tesdtimonianza di sé, a partire dalla bella Collegiata fatta edificare dal cardinal Branda. Intendiamoci, non sono uno storico ma un appassionato di storia e somno motivato a quest’impegno da un indubbio attaccamento ai luoghi e alle loro memorie e testimonianze: il campanilismo del castiglionese d’hoc. Posso ammettere però che fin da ragazzo ho avuto la passione per la storia e le sue pur relative verità. Penso inoltre che chi, come il sottoscritto, ha messo radici in Castiglione Olona, ha affetti, amicizie castiglionesi e ha a cuore l’onore dell’antico Borgo che comprende pure la restituzione del vero e storico Masolino, debba dare il proprio contributo. Tutto qui. Spero proprio che da queste mie scritture si accenda un interesse, una polemica, un insieme di cose che possa sollecitare nuovi studi mosolineschi.
AVIGNONE
Le guerre fratricide tra guelfi e ghibellini hanno prostrato il paese, fatta eccezione per alcune oasi di potere autonomo, il resto della penisola italiana (che non è ancora l’Italia unita odierna) è in pieno caos, ma non solo, negli italiani – chiamiamoli così per comodità – si è definitivamente spento ogni spirito unitario ed ogni residua velleità indipendentista, addirittura le divisioni e le controversie esistenti si sono accentuate. Il fondo di questo baratro si è raggiunto con lo schiaffo di Anagni (1303). Le conseguenze, fin troppo prevedibili, di quel dramma conducono il papato nel 1305 ad Avignone, Bertrand de Got, papa Clemente V, è virtualmente prigioniero del re di Francia, di Filippo il Bello.
Lo strapotere dei francesi, militare ed economico, è tale che trascorreranno settantadue anni prima che il papato possa tornare nella sede naturale di Roma.
Questa carenza di potere centrale scatena le cupidigie e le ambizioni dei nobili e dei signorotti dello Stato della Chiesa, così che in pochi anni ogni città, ogni castello si ergono in autonome signorie.
Ecco dunque gli Ordelaffi impadronirsi di Forlì, i Bentivoglio di Bologna, i Malatesta di Rimini, i Da Polenta di Ravenna, i Montefeltro di Urbino, i Da Varano di Camerino, gli Annibaldi, i Frangipane, i Colonna, i Savelli , i Castani, gli Orsini spartirsi Roma ed il suo vasto hinterland, così come tanti altri in tante altre città e castelli.
Mezzo secolo più tardi la morsa francese sul papato si allenta: Giovanni II non ha la grinta di Filippo il Bello cosicché papa Innocenzo VI, pensando ad un possibile ritorno a Roma, nomina un uomo di polso, il Cardinale Albornoz (1352), vicario generale per lo Stato della Chiesa. Nel mentre giungono da tutta Italia (frammentata in stati, staterelli, signorie ecc.) autorevolissime richieste in tal senso, a cui partecipano personalità di spicco, prime fra tutte quella di santa Caterina da Siena, del Petrarca, di Cola di Rienzo.
Per la verità, nota il Gregorovius, nell’età avignonese questa contrada fu così povera di grandi cittadini che i suoi maggiori patrioti furono un poeta amoroso in abiti d’abate, un tribuno folle e una visionaria fanciulla del popolo.
Con somma energia però l’Albornoz ha iniziato la riconquista dello Stato Pontificio (1357 Convegno di Fano), benché il suo compito sia reso difficile dalla resistenza dei nobili, dal pullulare delle ormai tristemente famose “Compagnie di Ventura” contro le quali , inutilmente, il nuovo papa avignonese, Urbano V, ha scagliato i fulmini “dell’interdetto” (1366).
L’Albornoz, energico e pragmatico servitore di santa romana Chiesa muore nel 1367, lasciando abbondantemente incompiuta la sua missione.
Ciò nonostante i tempi sono ormai maturi per il rientro del Papa che avviene nel 1377 con Gregorio IX. L’anno successivo viene eletto al soglio pontificio Urbano VI – Bartolomeo Frignano, arcivescovo di Bari – primo papa italiano dopo settantacinque anni. Tuttavia, la presenza del pontefice a Roma non è sufficiente a ristabilire l’ordine nello Stato, né tanto meno nella cristianità.
Nel 1378 Roberto da Ginevra, appoggiato dal re di Francia, viene nominato Papa – antipapa – col nome di Clemente VII, dando inizio allo scisma d’occidente.
Nel corso degli inevitabili scontri nuove soldataglie portatrici di miserie e stragi vengono lanciate contro le già sfinite regioni dell’Italia centrale. Il 29 aprile 1379 a Marino, proprio alle porte di Roma , si combattè una cruenta battaglia, vinta da Alberico da Barbiano su una potente formazione di mercenari. Perugia fu salva per il tempestivo intervento del condottiero panicalese Giacomo Paneri, detto il Boldrino, che sbaragliò definitivamente le orde bretoni nella battaglia di San Mariano (1386). La situazione però era tragica: paesi, cittadine, ma anche castelli senza più difese sono oggetto quotidiano di saccheggio, incendio, distruzione e razzia: si va avanti così per un tempo che appare essere tragicamente lungo. Gli scontri tra le varie compagnie di ventura, truppe mercenarie al soldo di signorotti locali e non, si intensificano: ne possiamo seguire le vicende con il porre l’attenzione sui loro condottieri: Biordo Michelotti, l’Acuto, fra’ Moriale, Il Boldrino, Paolo Orsini, Lodovico Migliorati, fino a comprendere Braccio Fortebracci. In merito a una spedizione militare di quest’ultimo nel Chiugio fa un accurato inventario il Campano: “Quel che fu mobilissimo fu il poter menare dalle terre dei nemici 80 prigioni, 10.000 bestie minute, 5.000 buoi e 1.000 cavalli “.
A proposito di Biordo Michelotti il Faretti ci fa sapere che fu insignito dalla signoria di Montalera, di Renabanca e di Panicarola, fu conte di Castel di Pieve e proposto per la contea di “Val di Chiana”. Si cita questo squarcio storico perugino per significare che il territorio di Panicale, in quel tempo, era parte della Val di Chiana.
Lo scisma d’occidente iniziato come detto nel 1378 si protrasse fino all’elezione di Martino V (1417). Questi quarant’anni, che coincidono con il buco storico relativo a Masolino, sono per il territorio di Panicale il periodo più duro e travagliato di tutta la sua storia.
Finisce qui la prima parte di questa storia, la seconda parte seguirà nella prossima puntata.
Giovanni dalle Bande Nere