Ho colto al volo parole di dissenso, per fortuna poche, e mal pronunciate anche, e questo impone una replica subitanea. Incontro felicitante e commovente quello fra la città di Parigi e l’edizione 2024 dei Giochi Olimpici, per come è stato dichiarato fattivamente da una originale e audace cerimonia inaugurale. Su cui vale la pena riflettere. Sul conto della quale invito tutti a una attenta riflessione.
Una lezione di eredità illuminista nella misura in cui esalta il profilo razionale dei Giochi Olimpici che sono, detta in formula, eredità simbolica dei Greci nostri remoti progenitori e al contempo l’antidoto d’ogni guerra con tutto il seguito dei suoi orrori, pur non dimenticando che la violenza è stata parte tutt’altro che secondaria dello stesso eccesso rivoluzionario che, nei fatti, ha gettato le fondamenta della modernità (tanto è vero che l’attuale governance francese dovrà ricordarlo e sarà chiamata a darne conto quanto prima). Ecco detta la prima impressione, a caldo, della cerimonia inaugurale della manifestazione olimpica.
Esaltazione di libertà e uguaglianza globali, di fraternità che dà pari dignità a tutti gli uomini e le donne del mondo intero, mette d’accordo tutte le religioni, anche le più intolleranti, le fedi e i credo, le filosofie e le utopie che abitano il mondo intero, accomunandole sotto un unico vessillo, quello della misericordia e su tutto infine ecco trionfare, cavalcando la magnifica mongolfiera-fiaccola olimpica che abbiamo visto innalzarsi sopra i tetti di Parigi, il gioco dei Giochi Olimpici: una competizione vincolata a bellezza, purezza, autenticità, rispetto e dignità di tutti e di ognuno con l’allegria che spetta propriamente al gioco – inteso wittgensteineanamente – e avvolge Parigi di una leggerezza positiva e lucente. Ecco come si può introdurre una breve nota sul conto dell’apertura delle Olimpiadi 2024 che passeranno alla storia come le Olimpiadi di Parigi, l’intera città di Parigi con i suoi simboli, i suoi monumenti, i suoi sei chilometri di lungo Senna ricchi di testimonianze storiche.
Che dire, ancora? Una cerimonia scansonata perché ludica, brillante perché allusiva di tutto ciò che, oggi, conta veramente: a cominciare dalla pace, dalla libertà, dall’eguaglianza, dalla fraternità fra le genti del pianeta Terra, il martoriato pianeta Terra.
Chi non ha capito – i più, immediatamente – che in questa cerimonia sono stati messi assieme i grand’uomini di Francia e della storia ai semplici cittadini, il funerale del feretro di Napoleone che tornava a Parigi dall’esilio di Sant’Elena, cerimonia descritta mirabilmente da Balzac, e quel magnifico dipinto di Delacroix che ne celebrava l’incoronazione a imperatore della Grand Nazione, Denis Diderot e Michel Foucault, la Pompadour e Marguerite Duras, e via via tutta una schiera di coppie impossibili che tessono, alla fine, una storia, una narrazione che va a intrecciarsi e arricchirsi con molte altre, aprendo gli occhi un po’ a tutti?
Paradossalmente c’è chi davvero non ha capito, o non ha voluto capire.
I ricorsi storici, simbolici, allusivi a volte danno fastidio.
Sennonché proprio questi ricorsi storici, simbolici, allusivi non si contavano nell’osservare lo svolgersi di questa cerimonia. Facciamo un esempio – al di là degli intermezzi danzanti, musicali, parodistici, performativi ecc., tutti d’una misura e di una ironia frizzanti, ma tali per cui tutto il resto vi si rispecchiava e rivelava dicendo di sé: quello che appare è e non è, perché vi è molto altro ancora! Al di là di ciò, ha colpito (giustamente) molti spettatori e telespettatori partecipanti in mondovisione, come usava dire anni addietro, un fatto: la sfilata sul regale tappeto d’acqua della Senna delle imbarcazioni d’ogni stazza e calibro, d’ogni forma e genere, su cui stavano gli atleti, quella compagine di rappresentanze di Paesi che surclassa per estensione e dunque per qualità ogni altro schieramento globale.
I protagonisti dei Giochi Olimpici erano questi ragazzi e ragazze muniti delle rispettive bandiere, vestiti delle rispettive divise segnalanti l’appartenenza a una data squadra, ma anche questa diversità di imbarcazioni è stata protagonista. Questi stessi mezzi che trasportavano sulla Senna gli atleti hanno finito per rappresentarli e per rappresentare i Giochi dall’a alla zeta, divenendo a un tratto un simbolo, fors’anche il simbolo di queste Olimpiadi parigine, un tutt’uno con le singole squadre, i singoli atleti.
Ma perché? Com’è potuto accadere? Ebbene, la promenade acquatica compiuta dalle imbarcazioni, questa sfilata eccezionale sul tappeto d’acqua della Senna lungo sei chilometri, ricco di scenari intensi, memoriali straordinari, bellezze esclamative, simboli parlanti, richiamante sottobanco la regata storica della Serenissima, quando Venezia celebra lo sposalizio col mare: quella terra d’acqua che è di tutti coloro che la solcano navigando, senza distinzioni di sorta, da sempre. Questa singolare navigazione sulla Senna che consente di scoprire Parigi dal suo stesso fiume che l’attraversa interamente, assume di per sé un chiaro valore simbolico. Che sta per tempo e spazio, lo scorrere della vita, l’incontro che è vita fra i giovani atleti e via enumerando.
Al tempo stesso, ricorda seppur sottovoce fatti come la Comune di Parigi, fatti come due episodi emblematici e d’una drammaticità estrema: la difesa di Parigi (reiteratamente richiamante il concorso di tutti e con ogni mezzo) e un episodio della seconda guerra mondiale che dovrebbe allertare: il salvataggio dei fuggiaschi, le truppe in ritirata dall’Europa e in particolare dalla Francia invasa dai nazisti su una mitica spiaggia francese, compiuto con l’aiuto d’ogni sorta di natante, con l’intervento di pescatori e altri volontari al fianco delle navi militari e civili di grosso tonnellaggio. Ma non è che un episodio fra i molti che sono stati richiamati – ora plasticamente e direi anche in termini a dir poco clamorosi e ora sommessamente e quasi di nascosto – nel corso di questa raffinata e allegra cerimonia olimpica, giusto per sottolineare che cosa possa voler dire Giochi Olimpici e Parigi.
L’entrata in scena d’una magica pioggia battente – forse inaspettata – ha poi portato uno scarto emblematico, un ulteriore tocco di classe a questa cerimonia antirettorica e innovativa anche sotto il profilo dell’impatto ambientale, riscattante le trascorse edizioni non solo dei Giochi stessi, ma anche delle Esposizioni Universali di cui la Torre Eiffel è testimonianza clamorosa; questo tocco di classe che ti fa dire che Parigi è sempre Parigi, sta a ricordare a ognuno di noi che il nodo da sciogliere verrà al pettine subito dopo la chiusura di questa magnifica manifestazione che si oppone di per sé, per quello che rappresenta ed è, alle discriminazioni e alle ingiustizie, alle troppe violenze tuttora in atto. Vedremo allora se si è trattato di un’illusoria pausa ludica o se, invece, è stato l’annuncio di una nuova era.
Ne abbiamo scritto per più ragioni e a corredo si allega una o più di una testimonianza visiva offerta dai media presenti a Parigi, affinché ognuno possa rivedere e decodificare analiticamente l’evento, ricavandone i dovuti insegnamenti, le sollecitazioni, le rivelazioni e le provocazioni, una propria visione e lettura dell’avvio delle Olimpiadi, in più di un caso davvero preziose.
Il direttore
Silenzi e occultamenti dell’illibertà: segnali di decadenza culturale.
“Le idee francesi servono di modello agli altri popoli […]. Ora la luce sta riposta nel cuor d’Europa; non può a meno ch’ella non influisca sugli altri governi… che accadrà dell’Italia?”. Alla fine del 1789 – scrivono C-M Basséno C. Dhoyen, M. Vevelle, nel 1988 – Pietro Verri, uomo dei Lumi, misura l’impatto internazionale della Rivoluzione appena scoppiata in Francia, destinata a modificare il paesaggio politico dell’Europa intera”, ma che fa l’Italia? Una “Italia frammentata [anacronistica cioè] ma aperta, sulla scia dell’illuminismo e dei nuovi legami culturali stretti con Parigi a partire dal 1760, ai sommovimenti preparati dall’opera dei ‘Philosophes’ e di cui la Francia è allora il laboratorio”.
Che l’oggi richiami in più modi questo ieri è palese, ma che fa l’Italia mentre Parigi offre – con il coinvolgimento di tutto l’arco politico in gioco – una lezione politica neo-illuminista? Occulta all’utenza massmediatica nazionale l’evento delle politiche francesi, lo fa espressamente attraverso l’oscuramento totale della Rai, cioè la Radio televisione italiana.
Il testo richiamato (datatissimo e modesto: oggi la storia si narra ben altrimenti). ha un titolo emblematico, Immagini della libertà. L’Italia in rivoluzione 1789-1799, vi si possono cogliere nei due testi complementari, lo scritto e il suo più ampio corredo illustrativo tutto d’epoca, perle d’una attualità sconcertante. Il sospetto è allora – insegna chi, inopinatamente, fa guidare un navigatore del Quattrocento da uno scienziato del Seicento, chi colto in sospetto se non in certezza di bancarotta fraudolenta non molla: non si dimette pur ricoprendo un ruolo istituzionale e via dicendo con sempre più materiali per una rimontante satira politica, tuttavia in competizione con una dilagante ottusa incomprensione, una misera indifferenza – che si stia vivendo davvero una analfabetizzazione di ritorno che colpisce un po’ tutti. Basti ricordare la sordità colpevole di un trascorso recente governo che, sfacciatamente, e a maggior danno delle fasce deboli della società, a detrimento della pubblica sanità, turlupinata da anni, della scuola e del terzo livello ridotto a parcheggio a ore, chi l’altro ieri ha calpestato i diritti civili nascondendosi dietro un allarme pandemico, chi ha lavorato sottobanco in barba – altro governo recente – ai cittadini. Ora finalmente le cose son più chiare: è tornata una censura nebbiosa, densa, virulenta. Lontano dagli occhi il cittadino, ignaro, può covare il proprio pollaio lasciando a chi sa il compito di fare e di strafare, di disfare e quant’altro.
Chi ultimamente invocava una primavera neo-illuminista forse aveva fin troppa ragione, chi come uno storico di chiara fama si innervosiva e denunciava questo grave malessere e la pericolosa deriva che ne discende forse aveva visto giusto.
Che cosa pensa il cittadino insubre, figlio della remota Repubblica Cisalpina e dei fasti napoleonidi del voluto oscuramento Rai verso i fatti politici della Francia? E, di pari, delle paradossali inadeguatezze dell’Europa unita solo da una moneta e le sue necessità?
Chi pensa che tutt’oggi le parole del Verri (Pietro, il reazionario rispetto al fratello Alessandro) son fresche-attuali come un piatto di pescato al mercurio appena fritto in olio di arachidi rancido e fumoso e subito servito in un cartoccio ai passanti si palesi, prego.
Seriamente: parliamone, urge un dibattito articolato, franco, privo di strategiche censure e molto altro ancora tra cui svettano come gramigna sempre più fitte sorprese da mercatino delle pulci, ma anche indicibili imbecillità alimento prediletto dei credenzoni (parola di Cattaneo) e dei deficienti (in senso latino). Troppi i segnali di decadenza culturale che nell’ultimo decennio stanno scorrazzando e moltiplicandosi nel Bel Paese!
Il direttore