Origine e significato dei modi di dire e dei detti più famosi.
Capire l’antifona: (intendere il succo di un discorso pur velato da parole caute ed esitanti, affermare un’allusione, un avvertimento nascosto, un’intenzione non apertamente dichiarata). Nella liturgia cristiana, l’antifona e’ una breve frase recitata o cantata prima e dopo il salmo, e talvolta tra i versetti dello stesso, che ne riassume il senso o gli conferisce particolare significato secondo la festa o il momento liturgico per il quale si usa. C’e’ anche il detto: e’ più lunga l’antifona del salmo, per significare che e’ piu’ lunga la premessa del discorso.
Castigat ridendo mores: (corregge i costumi ridendo) questa frase venne coniata dal letterato francese Jean de Santeuil .(1630-1697) per un attore italiano, Domenico Biancolelli, superbo interprete della maschera di arlecchino. Il Biancolelli era stato chiamato in Francia, con tutta la sua compagnia di comici dal cardinale Mazzarino, in tale occasione, desiderava che il Santeuil inventasse per lui un motto da incidere sotto un suo busto. Ma il letterato non era tanto propenso. Allora Bancolelli andò a trovarlo a casa e interpreto’ per lui uno dei suoi pezzi piu’ forti, una satira cui costumi dell’epoca, strappando al Santeuil alacri risate e un breve commento a tanta bravura, che usci’ spontaneamente dalla bocca del letterato: (castigat ridendo mores). La frase, piacque tanto al Biancolelli, che oltre ad essere incisa sul suo busto, divenne il motto di due teatri parigini, la Comèdie Italienne e l’Opéra Comique, e in seguito venne scritta sulla volta del teatro napoletano San Carlino fondato nel 1770.
Cherchez la femme: (cercate la donna). Questa frase è stata resa popolare da Alessandro Dumas padre, che la fa pronunciare a un poliziotto parigino, Jackel, nel dramma “Les mohicans de Paris”. Jackel a un certo punto dice: “in ogni affare c’e’ sempre una donna; quando i miei subordinati mi presentano un rapporto su un certo reato, io dico loro: cherchez la femme! E infatti, una volta trovata la donna, non si tarda a scoprire il colpevole: l’uomo”. Ma se Dumas ha reso popolare questa frase, non e’ certo l’autore. Alcuni ne hanno attribuito la paternità a Fouchè, ministro della polizia ai tempi di napoleone, altri la fanno risalire a de sartine, capo della polizia francese nel 1759, altri ancora l’attribuiscono all’abate Ferdinando Galiani, desumendola dal suo “Dialogue sur les femmes”. Ma le origini hanno radici molto più lontane nel tempo. Giovenale, nelle satire scrive: nulla fare causa est, in qua non femmina lite moverit (sat.vi, v.242-243) in poche parole, tutte le liti sono sempre originate da una donna. Ma, a voler essere pignoli, gia’nella bibbia si trova espresso più volte il concetto che è sempre la donna a condurre a perdizione l’uomo, anche il più saggio: propter speciem mulieris multi perierunt (eccl.,cap.ix,v.9). Se poi pensiamo al famoso episodio della mela, tra adamo ed eva, nel paradiso terrestre, il gioco e’ fatto.
Chi non lavora non mangia: la costituzione dell’Unione Sovietica, approvata e promulgata in occasione del V congresso dei soviet del 10 luglio 1918, all’art.18,div.ii,cap.v dice letteralmente: “l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche decreta il lavoro obbligatorio per tutti i cittadini della Repubblica e proclama il principio: chi non lavora non mangia” ma non e’ ai russi che si fa risalire il principio. La massima era già nota agli antichi ebrei, che la usavano come proverbio spicciolo, e venne consacrata da S.Paolo nelle sue lettere ai tessalonicesi: “si quis non vult operari, nec manducet -se qualcuno non vuole lavorare non mangi-” ep.ii ad thessalonicenses, cap.3,v.10. Da allora ha fatto molta strada, prima di varcare la cortina di ferro. Veniva ampiamente usata nelle nostre campagne e nelle fabbriche all’inizio della propaganda socialista, fino alla fine dell’ottocento, per vincere l’avversione dei lavoratori credenti contro ogni forma di novita’: come dire, il socialismo ateo sotto l’egida degli antichi detti del vangelo.
Chiudersi in una torre d’avorio: (indica la solitudine sdegnosa e aristocratica di chi si astrae dalla realtà per chiudersi nella contemplazione del suo mondo interiore.) E’ l’espressione biblica che si trova nel cantico dei cantici: collum tuum sicut turris eburnea; oculi tui sicut piscinae in hesebon (il tuo collo è una torre d’avorio, i tuoi occhi vasche di hesebon). Fu riferita poi alla madonna, che nelle litanie del rosario e’ chiamata turris eburnea. Per estensione, l’epiteto si attribuisce a una donna di fiera inavvicinabilità.
Comprare la gatta nel sacco: (comprare qualcosa senza prima averne verificato la natura, in genere lasciandosi ingannare.) Si tratta di una locuzione che deve trarre la propria origine da qualche episodio, senza dubbio menzionato nei classici, di cui ci sfugge l’autore. Un’espressione analoga, infatti, la troviamo nelle diverse lingue europee: die katze im sache kaufen. Acheter chat en poche. Comprar gato en saco. Una spiegazione plausibile la fornisce P.M. Quitard, nel suo dizionario dei proverbi. Pare che un cacciatore, dopo una giornata sfortunata, non volendosi presentare ai suoi amici senza selvaggina, si decidesse a compare una lepre da un contadino. Questi gliela fornì in un sacco, ma il cacciatore, per la fretta, non esamino’ la merce e quando, tornato a casa, dopo aver vantato la sua abilita’ venatoria, apri’ il sacco per mostrare il frutto delle sue prodezze, fece una colossale magra: nel sacco invece della lepre, c’era un gatto. L’equivalente di questa espressione, coniata di recente e’: comprare a scatola chiusa.
Il Busillis: Si dice: ecco il busillis, qui sta il busillis, questo è il busillis, per indicare il nodo di una questione, la difficoltà, l’inciampo. Si racconta che uno scolaro, o forse un chierico, o un prete doveva tradurre il principio di un brano del Vangelo, e arrivando alla fine di un rigo, divise così le parole in diebus illis (in quei giorni): in die-busillis. Quando poi tradusse, rese senza esitare: nel giorno del busillis. Da allora il termine busillis restò a indicare un ostacolo non facilmente superabile.
Il filo di Arianna: Si dice di una cosa che fa trovare la via d’uscita in una situazione intricata, fa vedere o anche fornisce il modo di risolverla. Racconta il mito che la moglie del saggio re di Creta Minosse, la malfamata Pasifae, aveva messo al mondo l’atroce Minotauro, un mostro di corpo gigantesco d’uomo e la testa di un toro, che si cibava di carne umana e muggiva in maniera terrificante. Per nasconderlo alla vista degli uomini, Minosse aveva fatto costruire dal famoso artefice Dedalo il Labirinto, un intrico di stanze e corridoi dove chi entrava si perdeva irrimediabilmente. Infondo al Labirinto il Minotauro aveva la sua orrida tana, doveva divorare le vittime umane che gli venivano offerte. Minosse dopo una vittoria riportata sugli Ateniesi, aveva imposto un crudele tributo: ogni nove anni dovevano mandare nell’isola di Creta quattordici giovani, sette maschi e sette femmine, da dare in pasto al Minotauro.