Dopo aver abbandonato l’Afghanistan le truppe americane si stanno preparando a lasciare l’Iraq. lo faranno entro 31 dicembre 2021 e nel paese resteranno non piu’ di 2500 militari, impegnati pressochè soltanto in compiti di istruzione e addestramento per le forze irachene.
I politici e gli analisti di politica internazionale si stanno domandando quali conseguenze si avranno negli equilibri di forza tra gli attori locali. E’ bene ricordare che la presenza americana era tornata ad aumentare dopo la fine della guerra contro Saddam Hussein per fronteggiare il fenomeno dell’Isis che stava dilagando su tutto il territorio ed era arrivato a sfiorare Bagdad e ad entrare, seppur di poco e per breve tempo, anche nella regione curda.Che il paese non sia ancora del tutto pacificato e ancora lontano sia il tempo di poterlo considerare una democrazia assodata lo dimostrano vari fattori: -disordini e manifestazioni violente di piazza, la presenza diffusa di gruppi armati che non ubbidiscono al governo centrale nè fanno parte delle forze curde (i peshmerga), la bassissima affluenza alle urne nelle elezioni politiche dello scorso ottobre, che non ha superato il 44%. Il partito sciita guidato da Muqtada Al Sadr, quello che ha guidato le proteste popolari contro la corruzione e l’invadenza delle potenze straniere, è uscito vincitore conquistando ben 73 posizioni sui 329 seggi del parlamento e i grandi sconfitti sono stati invece i gruppi che fanno riferimento alle milizie pro iraniane, ugualmente di fede sciita.Costoro hanno visto ridurre i propri esponenti nel Parlamento a soli 16 deputati perendone quindi ben 17 rispetto alle consultazioni precedenti del 2018. Al primo annuncio dei risultati le milizie hanno subito urlato ali brogli elettorali chiedendo e ottenendo il riconteggio delle schede. La richiesta è stata accolta, i voti ricontrollati uno per uno,ma i risultati, resi noti solo il 30 novembre, hanno certificato solo una piccolissima variazione che riguardava per di più solo altri partiti. Il mondo sciita è profondamente diviso al proprio interno e anche nessuno degli altri partiti è in grado, da solo, di garantire una maggioranza. Si dovrà quindi procedere alla ricerca di una coalizione così come è stato fatto n per la formazione del governo uscente guidato da Mustafà al Kadhimi. Costui aveva già cercato , senza riuscirci, a ridurre la diffusa corruzione e il prevalere degli interessi di gruppi o tribù sopra quelli dello Stato.Aveva pure tentato di ricondurre sotto il controllo dell’esercito ufficiale l’azione delle bande armate filo-iraniane ma, anche in questo caso, senza risultati. Questa situazione di scarsa autorità delle istituzioni ufficiali è poi più aggravata da una disoccupazione crescente e da srvizi pubblici inefficienti e il tutto ha sicuramente influito sulla disaffezione degli elettori. La presenza di truppe americane, contestata da più gruppi locali e benvenuta per gli altri, non è servita a molto per affrontare i problemi sul tappeto, ma la paura attuale è che il loro definitivo ritiro potrebbe ulteriormente incoraggiare Paesi terzi confinanti ad incrementare lo loro intromissione nei fatti interni iracheni. Uno dei timori riguarda la possibile resurrezione di frange dell’Isis e di El Qaeda, soprattutto dopo il ritiro di tutte le truppe occidentali dall’Afghanistan. Un secondo fattore di possibile instabilità può derivare dalla sensazione, da parte delle milizie pro-iraniane, di avere più spazio d’azione a loro disposizione. Il nuovo governo, qualunque esso sarà, farà tutto per cercare di disarmarle e di rompewre i legami che li uniscono alle formazioni iraniane di Al Quds. Se da un lato la pesante sconfitta elettorale riportata da loro alle elezioni può incoraggiare Bagdad verso questa direzione, dall’altro le milizie cercheranno di ottenere con la violenza ciò che le urne hanno loro negato. Un punto di domanda resta che aperto è come diventeranno i rapporti tra il governo centrale e quello regionale di Erbil.
L’INCOGNITA CURDA. Dopo il referendum per l’indipendenza organizzato dai curdi, le relazioni erano peggiorate fino aad arrivare a uno scontro armato nei pressi di Kirkuk con il conseguente abbandono della città -strappa all’Isis- da parte curda. Con la formazione del governo di Al Kadhimi e un cambio al vertice della presidenza ad Erbil, i rapporti si erano stabilizzati fino a consentire una proficua collaborazione tra le due capitali. I curdi, fino ad essere smentiti dall’episodio di Kirkuk ove gli americani vevano tacitamente appoggiato il governo centrale,avevano sempre contato su un sostegno USA e, in un certo senso,anche la riappacificazione con Bagdad fu, in qualche modo garantita dagli americani. Se, com’è probabile, il futuro governo iracheno coinvolgerà pesantemente anche la parte curda è possibile che non nascano nuove tensioni e la collaborazione possa continuare. Tuttavia, non va dimenticato,che proprio nel Kurdistan iracheno Turchia ed Iran giocano la loro competizione mai dichiarata. Il partito di maggioranza dei curdi, il KDP, controlla agevolmente la parte occidentale della regione è legato ad Ankara perchè la Turchia è il più vicino e importante punto di passaggio per le importazioni ed esportazioni e costituisce il maggio partner commerciale. Nella parte orientale, invece, domina il PUK che ha stretti legami proprio con l’Iran. Entrambi i paese, ufficialmente in buoni rapporti tra loro,ambiscono a poter in qualche modo controllare la politica irachena e non si può escludere.
MARIO SOMMOSSA