Se ne è andato a ottantasette anni, dopo una vita bene spesa all’insegna della creatività e di un atteggiamento fatto di scansonata autoironia e di eleganza eccentrica, un amico e un grande protagonista della scena artistica, architettonica e del design contemporaneo, Alessandro Mendini. Promotore con Ettore Sottsass jr., con Aldo Rossi e Paolo Portoghesi della svolta post-moderna del “made in Italy” e figura di riferimento pel design di udienza globale, Mendini ha diretto – conferendo la propria inconfondibile impronta a ogni testata, a ogni iniziativa editoriale – riviste di settore tanto togate quanto all’avanguardia e che hanno fatto e forse fanno ancora tendenza come “Casabella” (declinazione attuale della storica “La Casa Bella”), “Domus”, la rivista di Giò Ponti, ha curato progetti rilevanti progettando e costruendo musei e molto altro ancora, ma soprattutto ha orientato un gusto collettivo, a cui si sono aggregate generazioni di designer. Forse perché è stato in grado di dare la stura a un’idea di design senza precedenti. Magari adoperando quel suo divertentissimo – e autobiografico – cavatappi dal nome emblematico, Anna G, col faccino sorridente e un po’ magico rubato a una sua mitica collaboratrice e poi promotrice di nuove tendenze e di nuove generazioni di professionisti di settore, Anna Gili.
In ogni caso, Alessandro Mendini sapeva contaminare realtà e immaginazione, vita professionale e mondana con la leggerezza circense e l’esito felicitante di un acrobata se non addirittura con la capacità di stupire propria di un mago avvezzo ad attraversare i confini della stessa realtà. Lo attestava il suo bellissimo atelier dove mi condusse una sera proprio Anna Gili e dove ebbi modo di scoprire un modus operandi senza eguali, incardinato su una frizzante dialettica, su sprazzi di allegria, di paradossalità e di rinnovato entusiasmo e divertimento. Una sera andando nel suo studio dopo una giornata spesa tra l’Accademia di Brera e i miei ragazzi (questa officina creativa fino a pochi anni orsono ancora competitiva a livello internazionale e ultimamente, invece, ridotta a un rudere, a un guscio vuoto dall’interno, dall’entrata nel corpo docente di una pletora di guastatori senza arte né mestiere) e il “fuori Salone” da via Tortona a quant’altro, isola dopo isola milanese, proprio in sua compagnia – ci scambiammo pure le borse: lui mi consegnò una sua sacca firmata in cambio del mio sacchetto di stoffa del “Salumaio di Sant’Ambrogio”, una frazione di Varese – lo vidi sistemarsi, sorridendo sornionamente, sulla sua poltrona-Proust come fosse un gatto siamese. Quel suo trono simbolico nato nel 1978 dall’ibridazione tra una poltrona settecentesca desunta dalla Versailles di Luigi XV, un prato di Signac in lite giocosa con un prato di Suerat e, naturalmente, quanto viene proposto dal più audace Liberty, ma sottoposto a revisione mendiniana, fu presentato non per caso a Ferrara in un evento espositivo curato da suoi amici di spicco, Andrea Branzi e Ettore Sottsass jr.. Ebbene, questa monumentale seduta mi pare rappresenti una chiave di lettura per entrare nel laboratorio creativo di Mendini.
Vi aleggia lo spirito, la scrittura magistrale, gonfia di memorie, di nostalgie, di vita sognata di Marcel Proust – uno dei suoi autori preferiti – nella misura in cui parrebbe farsi, questa singolare seduta neomonumentale, un portale per guadagnare un tempo perduto oltre ogni possibile futuro. Una sorta di rovesciamento del cannocchiale proustiano, dunque. Sorridendomi Mendini mi disse che doveva fermarsi, perché si era stancato a forza di correre dietro la propria testa, una testa dominata da un pensiero velocissimo e trasversale in grado di mettere insieme universi mondi lontani, ambiti disciplinari incompatibili, giusto per divertirsi, zavattinianamente.
Ci siamo conosciuti, Mendini e il sottoscritto, – debbo testimoniare – allorquando con l’aiuto di molti amici e in particolare dell’AIM (Associazione Interessi Metropolitani) e su tutti dell’ingegner Scurati, avviai un progetto un po’ folle: ridisegnare la mappa della Milano creativa, artistica, culturale, del design, della moda ecc., dei primi anni Novanta, l’ultimo scampolo od atto del Post Modern che proprio Alessandro aveva traghettato in Italia con pochi altri guru. Ebbene, spendemmo un bel po’ di tempo assieme, divertendoci a progettare questo censimento creativo a cui partecipò anche Renato Manhaimmer, quest’avventura esplorativa nel mondo delle arti, dell’architettura, del design in specie qual era presente e attivo nella Milano del tempo.
Alla fine, quando stavamo predisponendo il primo e purtroppo unico catalogo (poiché naufragammo in “mani pulite”, oggi un’accidentalità da educande, che ebbe per noi ricadute disastrose), il catalogo di una preventivata serie – vincolata a una correlata serie di manifestazioni – inerente in particolare le Arti e il Design, Mendini mi donò la copertina e così Anni ‘90. Arte a Milano (1994), vanta questa copertina firmata da questo straordinario personaggio; così la serie di mostre implicanti più di duecentocinquanta artisti fra lo spazio delle Stelline, l’Arengario (ora Museo del ‘900) e altri luoghi, si presentava sotto l’egida mendiniana. Ridevamo spesso discutendo ora di questo e ora di quello, ci confrontavamo sovente con Anna Gili e altri straordinari creativi che hanno recitato una parte non secondaria nella lunga e tanto produttiva carriera di questo guru, passavamo, lo dico con un velo di tristezza dovuta alla nostalgia, serate, mattinate, pomeriggi indimenticabili in sua compagnia e sempre Alessandro sapeva interpretare con spiazzante originalità, con freschezza sconcertante, con rapidità stupefacente ogni cosa, risolvendo ogni problema orientandosi spesso su paradigmi paradossali. La sua era tuttavia una paradossalità dolce, disincantata ma elegante, richiamante costantemente i fondamenti più genuini e propositivi della svolta post-moderna. Un uomo geniale che sapeva interpretare senza prosopopea il suo ruolo di leader come si conviene a ogni guru e a ogni uomo raffinato che, mai, si prende troppo sul serio.
Classe 1931, Alessandro Mendini, milanese doc e perciò generosissimo con la sua città natale, è stato protagonista di un rinnovamento esclamativo negli anni Ottanta, attraverso l’alacre e creativissimo impegno profuso con un team di collaboratori e colleghi d’eccezione nello Studio Alchimia – ora in attesa di valida storicizzazione – venendo a determinare un nuovo carattere allo stesso progettare oltreché tutta un’altra e nuova implicazione formale e simbolica. Ha ricevuto, Mendini, nel corso d’una carriera costellata di successi, il Compasso d’Oro nel 1979 e nel 1981, nel 1989 ha fondato con il fratello, con il quale ha condiviso ogni progettualità, l’Atelier Mendini. Eppure aveva esordito non già come architetto e designer ma come pittore e come teorico dell’architettura e di quest’esordio si possono rintracciare i più varii riverberi qua e là nell’arco degli anni di questa sua lunga carriera sia quando ha progettato l’universo Alessi o quello Bisazza e sia quand’è intervenuto come progettista per la Swatch, la Philips o Venini sia quand’è intervenuto a Napoli per la nuova metropolitana o altrove come progettista museale, a Groningen, in Olanda, il museo della ceramica a Icheon, in Corea o ancora allorquando si è dedicato alla scrittura e alla confezione, in solitaria o con partners di livello, di volumi destrutturanti in grado di mettere in moto orizzonti solitamente inesplorati o quasi. Dal momento che Mendini è stato un guru del gusto e una guida collettiva capace di determinare altri inaspettati interessi, bisogni, desideri e sogni. Tutto questo all’insegna di una genialità migrante dall’uno all’altro ambito disciplinare, da un orizzonte conoscitivo a un altro, da una regione di desideri e passioni per il prossimo millennio all’altra. Un passo avanti a tutti noi, magnificamente. Mi mancherà il suo carisma, non incontrarlo come per caso a una presentazione, a un revival neo-proustiano ora di questo e ora di quello, a un party esclusivo dal quale riusciva a sgattaiolare via il prima possibile, con l’imperturbabile eleganza di un piccolo lord inglese. Mi mancherà quella sensazione che sempre provavo nel confrontarmi con lui, una sorta di piacevolissima ventata di libertà, di inebriante creatività che finiva per conferire al mio insostituibile amico Alessandro Mendini un’aura magica, da piccolo principe qual era.
L’eredità che lascia Mendini a tutti noi? Un semplice invito, a non lasciarsi impaurire dal dilagante conformismo, a non farsi catturare dalla banalità, dalla burocrazia e da ogni altro impedimento od ostacolo alla creatività che si incardina su un desiderio di sapere e di fare in piena e consapevole libertà, parola di Alessandro Mendini.
Rolando Bellini