Tutti noi quando sentiamo parlare di 68 andiamo con la memoria ai motti sudenteschi che dalla Francia all’Italia primeggiavano le prime pagine dei quotidiani, con le occupazioni dei Università e Licei e i continui cortei tra Milano Roma Venezia e Napoli…. a Varese non c’era ancora l’Università, nascerà parecchi anni dopo, però molti si ricordano quelle date.
VARESE 5 JUVENTUS 0 Questo era il titolo a caratteri cubitali che, su tutti i quotidiani sportivi e non, compariva quel lunedì 5 febbraio 1968. E’ la stagione 1967/68, l’anno di grazia del Varese calcio. L’Italia del pallone, con i tifosi varesini , ha già conosciuto, a Masnago, la sorpresa della sconfitta del Milan capolista e prima ancora del Cagliari di Gigi Riva e del Napoli. Il Varese infatti veleggia al secondo posto della classifica del campionato di serie A: mai un risultato così è stato ( e sarà poi) ottenuto dalla società biancorossa nella sua storia iniziata nel 1910. Furono bianco e viola i primi colori societari e il primo vero campo di calcio fu in via San Vito Silvestro dopo poi sorse il complesso Aermacchi. Una ventina d’anni di apprendistato calcistico e poi il Varese attorno agli anni trenta comincia la sua ascesa, arriva alla serie cadetta (chiamata allora Prima divisione).
Ma a pochi chilometri di distanza dal capoluogo, la provincia può vantare una “stella” del calcio, la Pro Patria di Busto Arsizio, già arrivata alla massima divisione, dove resterà sei anni. Nel giorno della sua promozione in seria A -1927- tutta Busto fa baldoria accogliendo i “tigrotti”on la banda cittadina in testa. Il grande momento di Pro Patria e Varese va di pari passo con quello del Legnano, anch’esso all’apice del calcio italiano in quel periodo. Gli anni che portano al conflitto mondiale non sono però forieri di buone notizie per nessuna delle tre società. Le retrocessioni sono all’orine del giorno, le crisi dirigenziali si susseguono , i grandi giocatori prendono altre vie d’Italia. Bisognerà attendere il dopoguerra per riassaporare con la Pro Patria il piacere della massima ribalta calcistica. Subito imitata dal Legnano. A sud di Varese il calcio sorride, il Varese invece naviga nei campionati minori e gli spalti sono occupati dai pochi irriducibili.
Gli anni cinquanta, verso la metà, segnano comunque il crollo del nostro calcio: la Pro Patria inanella nella stagione tutti i record negativi, il Legnano subisce una grave crisi dirigenziale. I sogni di gloria vengono riposti nel cassetto e, salvo per la Pro Patria, che ha una sferzata d’orgoglio nella stagione 61/62 ( promozione in serie A fallita per un solo punto), i tentacoli della serie C imprigionano per sempre le due società. Quando il precipizio dei campionati inferiori non diventa baratro. Gli albori degli Anni Sessanta segnalano invece un cambiamento di rotta a Varese. Per chi scende in provincia, c’è chi sale. Dalla C alla B e quindi serie A, il passo è compiuto, nel lasso di tre stagioni lai biancorossi centrano l’obiettivo. Alla guida c’è Giovanni Borghi, il mecenate dello sport italiano, e i benefici sono evidenti. Lo stadio di Masnago si riempie: venticinquemila spettatori sugli spalti non sono una rarità. Ma un’improvviso cambiamento al vertice ( a Borghi succede Filiberti) crea scompiglio: le solide basi traballano, il purgatorio della serie cadetta è inevitabile.
Con Borghi nuovamente ai vertici il riscatto è immediato i colori biancorossi risplendono nuovamente sulla massima ribalta calcistica nazionale. A Varese nascono grandi talenti, primo fra tutti Pietro Anastasi, e Masnago può anche cullare (per un solo mese) l’illusione dello scudetto nel nuovo stadio rifatto e ampliato. Illusione che mal ripaga. Gli anni sessanta si chiude infatti con la società biancorossa alle prese con i problemi di bilancio a fronte “dell’eccessivo palato fino” dei tifosi: qualcosa non quadra nei rapporti. Eppure l’altalena tra la serie A e quella cadetta scandisce tempi minimi, ma il granello dell’insipienza d’affetto entra negli ingranaggi, e lentamente, pur con momenti di grande soddisfazione (gli anni settanta non saranno affatto aridi), fino ai nostri giorni corrode.
Antonio Simonetto