Continua la pubblicazione degli atti : Masolino da Panicale e la Cultura lombarda del Quattrocento. Varese-Castiglione Olona 5-6-7 ottobre 1984.
FRANCO MAZZINI (già soprintendente per i Beni Artistici e Storici del Piemonte) Il restauro degli affreschi di Masolino nel Battistero di Castiglione Olona e la scoperta delle sinopie.
Una breve storia degli interventi conservativi a partire dal 1899( relazione al Prefetto di Varese dell’ing. Riva, già consapevole che il deperimento dei dipinti era dovuto in primis alle avverse condizioni ambientali). Interventi di consolidamento dell’edificio dopo il 1917. Il restauro del Pelliccioli nell’estate del 1935. Il problema dell’alterazione cromatica degli affreschi (colorazione rosacea) al vaglio dell’analisi scientifica che esclude peraltro un’azione biologica (licheni, microorganismi) come causa. Le prime denunce di un inquinamento ambientale (istallazioni di stabilimenti industriali, esalazioni acide ecc..).Il problema della conservazione esaminato dalle Soprintendenze lombarde nel dopoguerra:1952/53, visite sopra luoghi, prelievi, analisi da parte dell’Istituto di Fisica del Politecnico (prof. Bozza), onde accertare le cause del progressivo deperimento dei dipinti, particolarmente sulle pareti nord e ovest. Dal 1955/56, progetto ed esecuzione (Soprintendenza ai Monumenti) di una bonifica integrale dell’edificio, del regime delle acque piovane, condotte di scarico sotterranee, ecc.., mentre continua il controllo da parte dell’Istituto di Fisica. 1963 -ottobre- Visita collegiale del Consiglio Superiore (II e III sez.)e conseguente voto (genn.1964) che, -visto lo stato allarmante del deperimento di proceda allo stacco dei dipinti, con le maggiori cautele , per la possibilità di rintracciare sinopie (facciata esterna, parete d’ingresso e nord), mentre si incarica il Politecnico di effettuare esami chimici della superficie dipinta e delle condizioni atmosferiche ambientali. La relazione dell’Istituto di Fisica (ott.1964) offre spiegazioni circa le cause e i meccanismi del deperimento della superficie pittorica, ma come rimedio alla situazione attuale non vi sono alternative allo stacco, già del resto previsto.1965/66: si procede allo stacco con scoperta parziale delle sinopie, esterne ed interne; ricollocamento degli affreschi mediante speciali telai metallici tamburati con fogli di resina (rest. Ottemi della Rotta). Particolare sistemazione per l’accessibilità della sinopia della Sibilla sul pilastro sinistro. Successivo analogo intervento sugli affreschi della volta (1971) dove pure si trovarono sinopie. La tecnica degli affreschi del Battistero; il disegno preparatorio senza “spolvero” e sua affinità con le sinopie. Descrizione delle sinopie: caratteristiche tecniche e stilistiche nel raffronto con le sinopie di Empoli – S. Agostino 1424- e di Roma – S. Clemente 1428-.
EVELYN S.WELCH. (The Warburg Institute) Londra. Bonifacio Bembo e la pittura profana del quattrocento.
Bonifacio Bembo e la sua bottega furono impegnati in parecchie commissioni profane durante i dieci anni del ducato di Galeazzo Maria Sforza. L’artista fu incaricato di decorare il castello di Pavia negli anni 1468/70 e probabilmente anche di dipingere in quattro sale del Castello Sforzesco di Milano, nel 1471/72, nonchè, nel 1474, nella sala della Balla, nello stesso Castello. La relazione prende in esame particolarmente il progetto del 1471/72 e , attraverso nuovi documenti, cerca di collocare il lavoro dell’artista nel contesto della vita e dello stile della corte. Le tre versioni del programma del 1471 comprendono più di sessanta diversi ritratti. L’autore identifica i personaggi rappresentati, spiega il loro significato e il motivo per cui il programma fu variato successivamente. Mostra anche la stretta relazione di questo progetto decorativo con la Camera degli Sposi di Mantova e con le opere perdute del palazzo ferrarese di Belfiore. Conclude con una discussione intorno all’influenza delle richieste di Galeazzo Maria Sforza sulla pittura e sui pittori milanesi, mettendo in evidenza come questo “stile di corte” si sia sviluppato in modo diverso tra Mantova e Ferrara.
GIULIANA ALGERI: (Ispettore della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Genova) Per l’attività di Michelino da Besozzo in Veneto.
Partendo dalla recente attribuzione, avanzata dal Maria Teresa Cuppini, dopo l’intervento di restauro, a Michelino da Besozzo di due affreschi nella chiesa di S. Corona a Vicenza, la relazione si propone innanzi tutto di chiarire i motivi e i tempi della presenza del pittore nella città veneta, individuando il committente dell’opera e i suoi rapporti con l’ambiente lombardo. Analizzati i vari aspetti dei due dipinti, la relazione affronta inoltre il riesame delle notizie e delle altre opere, miniature per le Ipistole di S. Gerolamo, che si riferiscono al soggiorno veneziano di Michelino, cercando di offrire un quadro d’insieme dell’attività del pittore nel Veneto e i nuovi elementi di valutazione complessiva della sua opera.
ANTONY HIRSCHEL: (Docente di Storia dell’arte presso Università di Yale) Gli Zavattari e la pittura lombarda dopo Masolino.
In questa relazione viene preso in esame la risposta degli artisti conservatori lombardi agli affreschi di Masolino a Castiglione Olona e gli altri stimoli forestieri, in particolare quello del Pisaniello, intorno al 1450. Vengono considerate anche le implicazioni di questa risposta per la nostra comprensione della pittura lombarda del Quattrocento. Gli Zavattari, nota famiglia di artisti lombardi, documentata durante tutto il Quattrocento, ci offre un’indicazione di questa risposta. La loro opera superstite più importante, gli affreschi della Cappella della Regina Teodolinda a Monza del 1444, è qui studiata per stimare la misura in cui Masolino e Pisaniello esercitarono un’influenza sulla formazione artistica sugli Zavattari, e per esaminare le cause di tale influenza. Sono considerati i mezzi per i quali le nuove tendenze furono diffuse ed i fattori che avrebbero potuto limitare la loro accettazione larga e rapida, primo fra tutti la tradizione artistica lombarda ancora vigorosa. Non desta stupore il fatto che ogni membro della bottega monzese rilevi un debito profondo nei confronti dell’arte di Michelino da Besozzo. Il ruolo di Masolino, però, è molto limitato, mentre Pisaniello, esercita un’influenza più notevole, anche se superficiale. Masolino si avverte di più negli affreschi dei “Giochi” nel Palazzo Borromeo di Milano, ma anche qui le somiglianze sono poco profonde. I principi di Pisaniello furono meglio capiti dalla successiva generazione di artisti. Dall’inizio della carriera di Foppa, concetti rinascimentali più avanzati di quelli di Masolino cominciarono a far parte della della mentalità artistica lombarda. Tuttavia, artisti come Cristoforo Moretti e gli Zavattari più giovani continuarono a dipingere nel vecchio modo, quasi non toccati dagli sviluppi nuovi, e continuarono a ricevere incarichi importanti. Lo stesso mecenate spesso commissionava opere ad artisti di orientamenti stilistici molto diversi. Alcune delle predilezioni del tardo-gotico continuarono ad essere alla base dello stile aggiornato della maggior parte degli artisti nei decenni seguenti. Non dovrebbe con ciò diminuire il nostro apprezzamento dell’impresa lombarda di Masolino e degli artisti lombardi che si avvicinarono a quell’impresa solo cautamente, ma invece dovrebbe ampliarsi ed arricchirsi la nostra visione della cultura artisti in cui lavorarono.
GERMANO MULAZZANI: (Soprintendente aggiunto della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Milano) Per un nuovo catalogo di Bonifacio Bembo.
Attraverso il riesame dei dati documentari e del “corpus” delle opere sicure e attribuite, l’autore propone di distinguere nettamente la figura storica del Bembo rispetto a quella, anonima, alla quale sono state assegnate le miniature e le tavole da soffitto. L’occasione per il riesame è stata offerta dallo studio del “mazzo di Tarocchi” conservato oggi nella Biblioteca Universale di Yale: la probabile datazione di queste carte e il loro stile impediscono di attribuire questo “Mazzo” e gli altri due (Bergamo-New York e Brera) allo stesso autore del Trittico e dei Ritratti ducali di S. Agostino a Cremona, degli affreschi di Monticelli d’Ongina, della Cappella Ducale del Castello Sforzesco di Milano e del Collegio Castiglioni di Pavia. Queste opere appartengono al settimo e ottavo decennio del secolo, così come è da osservare che le notizie documentarie relative all’attività dell’artista vanno dal 1449 al 1477. Le opere ricordate esibiscono inoltre un aggiornamento in chiave rinascimentale , e precisamente in direzione di Masolino, che le miniature e le tavolette da soffitto non rilevano minimamente. L’autore propone quindi di togliere dal catalogo del Bembo e di riunire sotto il nome di Maestro dei Tarocchi Colleoni i Tarocchi di Bergamo-New York e di Brera, le tavolette da soffitto di Cremona, Trento e Torcello, le miniature dei codici di Mirandola, Firenze e Rimini, i due Santi della Pinacoteca di Brera e gli affreschi della Cappella Cavalcabò in S. Agostino in Cremona, ravvisando in questi ultimi la probabile presenza di entrambi gli artisti. Nell’ambito della bottega dell’anonimo maestro infatti, a Cremona, intorno alla metà del quattrocento, deve essere avvenuta la primissima formazione di Bonifacio. Resta aperto il problema attributivo del “Mazzo” di Yale, certamente il più antico e il più bello tra quelli noti, che l’autore propone di sciogliere chiamando in causa Michelino da Besozzo.
SANDRINA BANDERA BISTOLETTI: (Ispettore della Soprintendenza per i Beni Artistici e storici di Milano) Gli affreschi del Quattrocento di San Siro alla Verra di Milano.
La chiesetta, già ricordata nel IX secolo, venne ricostruita tra il 1454 e il 1460. Gli affreschi dell’abside, quindi, non possono essere anteriori a questo periodo. Esistono anche alcune differenze tra il registro superiore, inedito, e quello inferiore: differenze stilistiche che sono avvalorate anche dal risultato delle analisi della pellicola cromatica svolta dal CNR. Si nota una particolare cura nella stesura degli incarnati, il che dimostra una notevole abilità tecnica, diffusa probabilmente da Masolino negli anni dalla sua permanenza in Lombardia, probabilmente eseguiti da due maestri che lavoravano in società, oppure appartenenti alla stessa bottega, questi affreschi sono strettamente collegati ad altri esempi di produzione artistica lombarda. In particolare il ciclo superiore , con il Cristo nella mandorla e i dodici Apostoli, sembra derivare da dei modi micheliniani della volta della cappella di S. Martino in S. Eustorgio (1440 circa) e dagli Zavattari. La fascia sottostante con la Crocefissione, la Madonna, San Giovanni, i Santi Nazaro e Celso, San. Ambrogio e gli altri Santi, risulta assai prossima agli affreschi di Silvano Pietra, alla lunetta in Santa Maria presso San Celso proveniente da San Nazaro e soprattutto la Crocefissione ora sull’altare di San Vincenzo in Prato, proveniente dall’oratorio di San Calogero. Si può ritenere anzi che il Maestro della Crocefissione di San Siro sia lo stesso della Crocefissione di S. Vincenzo in Prato. Questa personalità sembra identificabile con Cristoforo Moretti. La relazione è copletata da confronti con miniature del Maestro Breviario Francescano, del Maestro di Budapest, del Maestro di Ippolita Sforza e di altri maestri attivi intorno al 1460 e con oggetti dello stesso periodo, come il vaso di vetro dipinto di Jacopino Cietario.
EUGENIO BATTISTI: (docente di Storia dell’ Arte alla Pennsylvenia State University) Pittura toscana e pittura lombarda: nuovi elementi.
Nonostante la facile accessibilità dei dati e la disponibilità di molte biblioteche, tutta la storia della pittura settentrionale appare come velata da uno schermo, che è ancora quello costituito dalla storiografia artistica toscana, in larga parte scritta come forma di propaganda per la casa dei Medici. I pochi tentativi di invertire il segno dei rapporti sono caduti, per così dire, nel vuoto: come l’enfasi messa dal Francastel su Masolino; l’importanza fondamentale assegnata dall’Antal a Gentile da Frabriano. Tuttora è difficile trovare , nei manuali, descritta la linea continua che va dal giottismo settentrionale alla pittura tardo-gotica e fiamminga.; e trattando di problemi specifici, come la gesticolazione e posa dei personaggi, l’ambientazione architettonica e prospettica, la caratterizzazione delle passioni, la documentazione della società e dei mestieri, sembra che il riferimento vvenga per caso, e con sorpresa, invece che con sistematicità. Firenze domina anche quando non è creativa e si suoi maestri lavorano altrove. Benchè il mio contributo voglia trattare di un fatto specifico, commentando un gruppo di annotazioni prospettiche scritte a Padova, Venezia, Udine nella prima metà del quattrocento, va detto che i caratteri della cultura settentrionale possono essere indicati in poche parole: anzitutto tenendo conto del fatto che assai meno sensibile è la regressione mistica, ieratica così bene descritta da M. Meiss per Siena e Firenze dopo la peste nera e cioè che non avviene un ritorno “from narrative to ritual”; anzi il narrativo è potenziato . Secondo aspetto, è che gli scrittori d’arte o di prospettiva e tecnica settentrionali sono letterati, cioè conoscono il latino, hanno frequentato l’università e in genere praticano la scienza , si pongono quindi di una informazione erudita assai elevata. Terzo aspetto, la continuazione di una cultura di corte, anche dopo la caduta di alcune case regnanti, determina un pubblico altamente preparato, rivolto verso piaceri profani invece che religiosi, ed altamente sperimentale e curioso. Queste caratteristiche sono tipiche di Giovanni Fontana, uno scienziato e medico, autore di vari manoscritti, anche illustrati e di una grossa enciclopedia che verso il 1450 conclude la sua attività. Egli è stato allievo ,fra gli altri del Pelacani, compagno di studi di Paolo del Pozzo Toscanelli e del Cusano, e sappiamo per ripetute sue dichiarazioni che egli scrisse un libellus di prospettiva, dedicandolo al giovanissimo Jacopo Bellini. Questo libello è perduto, ma dai manoscritti e dall’enciclopedia (che fu stampata nel 1556) si possono ricavare mote indicazioni precise. Anzitutto appare evidente il rapporto con la trigonometria e gli strumenti di misurazione, uno dei quali venne appositamente costruito dal Fontana che ne da molti disegni tecnici e ne indica l’uso topografico e prospettico. L’autore, inoltre, conosce tutti i trattati esistenti e se ne serve criticamente, innestandoli entro un sistema di ricerche astronomiche e cosmologiche. Mentre i teorici fiorentini si danno dlle indicazioni assai elaborate circa qualche problema prospettico, qui abbiamo un quadro amplissimo e generale anche più largo di quello che è stato ultimamente ricostruito sa quegli studiosi che hanno ritenuto che la prospettiva fosse un procedimento più intellettuale che artigiano e pittorico. Benchè sia difficile stabilire un rapporto diretto tra cultura universitaria , espressa da Fontana, e la pratica pittorica, esistono almeno due vie di ricerca possibili. La prima riguarda alcuni caratteri della celebre Pala con L’adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, cui Jacopo Bellini potè collaborare come aiuto: vi si contestano, applicati scrupolosamente, alcuni dei precetti del Fontana circa la dinamica tridimensionale di colori, e i tipi di ombre portate in rapporto con la misura della sorgente luminosa e la sua distanza, la sperimentazione di proiezioni notturne e di lampade con speciali lenti. La seconda via, anche più sorprendente, riguarda l’identità di molti paesaggi con il trattato italiano sulla prospettiva, attribuito dal Parronchi a Paolo dal Pozzo Toscanelli, giunto a Firenze il 1425 da Padova. Visti i rapporti con Jacopo Bellini, le idee padovane poterono penetrare prima , avanti il 1422-23, e come tutti sanno, sono questi gli anni determinanti per il rilancio prospettico quattrocentesco.